Chiesa semplice

8 motivi per cui fondare chiese IN CASA

Questa pagina estratta dall’articolo “Le chiese in casa” scritto da Steve Atkerson e tradotto da Antonio Morlino. Appare qui per gentile concessione della NTRF.

Che la chiesa originaria tenesse le sue riunioni principalmente nelle case private è risaputo e indiscutibile (At 16:40; 20:20; Rm 16:3-5a; 1 Cor 16:19; Col 4:15; Fm 1-2b; Gc 2:3). Non così noto è il fatto che la chiesa primitiva abbia continuato questa pratica per centinaia di anni, per lungo tempo dopo che gli scritti del Nuovo Testamento erano stati completati. Ha osservato C. F. Snyder che “la Chiesa neotestamentaria cominciò come piccoli gruppi di chiese in casa (Col 4:15), e rimase tale fino alla metà o alla fine del III sec. Non ci sono prove di luoghi di riunione più grandi prima del 300″1.

Quali effetti pratici avrebbe una riunione in casa sulla vita della propria chiesa? È un assioma del design che la forma segue la funzione. Ciò che credevano gli apostoli riguardo alla funzione della chiesa era espresso naturalmente nella forma che assunse la chiesa nel I sec. Alcune delle diverse pratiche della chiesa (in casa) primitiva sono degne di considerazione.

1. Il significato generale della chiesa in casa risiede nella sua teologia comunitaria.

Chiesa in casa

La chiesa fu raffigurata dagli autori apostolici in termini che descrivono una famiglia. I credenti sono figli di Dio (1 Gv 3:1) che sono nati nella Sua famiglia (Gv 1:12-13). Perciò il popolo di Dio è considerato parte della famiglia di Dio (Ef 2:19; Gal 6:10). Essi sono chiamati fratelli e sorelle (Fm 2; Rm 16:2). Di conseguenza, i cristiani devono relazionarsi fra loro come membri di una famiglia (1 Tm 5:1-2; Rm 16:13). Da questo punto teologico secondo cui i figli di Dio sono una famiglia scaturiscono molte questioni di pratica ecclesiale. La domanda diventa: “Quale ambiente favorisce meglio il nostro funzionamento come famiglia di Dio?”.

2. Molti studiosi sono convinti che, in origine, la Cena del Signore fosse celebrata settimanalmente come un pasto completo di comunione (il banchetto dell’agape).

Ogni chiesa locale dev’essere come una famiglia (1 Tm 5:1-2), e una delle cose più comuni che fanno le famiglie è di mangiare insieme. Le riunioni della chiesa primitiva, incentrate attorno alla Mensa del Signore, erano dei momenti straordinari di comunione, comunità e incoraggiamento (Lc 22:16-19, 29-30; At 2:42; 20:7; 1 Cor 11:17-34). Anziché in un’atmosfera funebre, la Cena del Signore era celebrata come pregustazione del banchetto delle Nozze dell’Agnello (Ap 19:6-9). Maggiore è una singola congregazione, minore diventa l’atmosfera di familiarità, e più impersonale e impraticabile può diventare la Cena del Signore come un vero pasto. Pertanto, nei secoli successivi, quando la chiesa abbandonò le riunioni domestiche, la Cena del Signore fu infine privata di tutto, salvo che dell’ingestione simbolica di un pezzettino di pane e di un sorso di vino.

3. Le riunioni della chiesa primitiva erano chiaramente partecipate (1 Cor 14; Eb 10:24-25; Ef 19-20; Col 3:16).

Qualunque fratello poteva partecipare verbalmente. Il prerequisito di qualunque cosa venisse detta era che dovesse edificare e fosse finalizzata a rafforzare la chiesa. Poiché il parlare in pubblico è un grande timore per molte persone, le riunioni partecipate sono ottime per riunioni della grandezza di un soggiorno, composte da persone che si conoscono tutte fra loro e sono davvero amiche. Le riunioni partecipate sono impraticabili per le folle. Quando il soggiorno fu sostituito dal santuario, le riunioni partecipate furono sostituite dai culti di adorazione.

4. Le Scritture sono piene di comandi a fare le cose “a vicenda”.

La chiesa deve avere a che fare con il dover rendere conto, la comunità e il mantenimento della disciplina ecclesiale (Mt 18:15-20). Questi ideali si compiono meglio in congregazioni più piccole, dove le persone si conoscono e si amano a vicenda. La chiesa deve avere a che fare con le relazioni. Una grande platea di persone, la maggior parte delle quali reciprocamente estranee fra loro, non raggiungerà facilmente tali mète. Quando diventa facile perdersi nella folla, il Cristianesimo nominale è al riparo. Le chiese che si riuniscono nelle case promuovono meglio la semplicità, la vitalità, l’intimità e la purezza che Dio desidera per la Sua chiesa.

5. La chiesa del Nuovo Testamento aveva dei conduttori chiaramente identificati (anziani, pastori, vescovi), eppure costoro guidavano più con l’esempio e la persuasione che con il comando.

L’unanimità raggiunta dall’intera congregazione guidata dagli anziani era predominante nel prendere le decisioni (Mt 18:15-20; Lc 22:24-27; Gv 17:11; 20-23; 1 Cor 1:10; 10:17; Ef 2:19-20; 4:13-17; Fm 2:1-2; 1 Pt 5:1-3). Raggiungere l’unanimità è possibile in una chiesa in cui tutti si conoscono, si amano, si sopportano a vicenda, sono pazienti fra loro e si prendono cura gli uni degli altri. Tuttavia, più è grande la comunità, più impossibile diventa mantenere le relazioni e le line di comunicazione. In una congregazione grande, il pastore funge necessariamente più da direttore generale di un’azienda.

6. La chiesa del I sec. mise il mondo sottosopra (At 17:6), e lo fecero utilizzando il modello neotestamentario delle chiese in casa, le quali sono economiche, in genere guidate da laici, possono riprodursi velocemente e hanno un grande potenziale di crescita mediante l’evangelizzazione.

Chiesa in casa

Abbiamo bisogno di pensare in piccolo in un modo davvero grande! Dio non equipara la grandezza alla capacità. Paolo ricordò che…

“Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, perché nessuno si vanti di fronte a Dio” (1 Cor 1:27-29).

7. Il Nuovo Testamento esorta al sostegno generoso dei missionari, degli evangelisti, degli anziani qualificati e dei poveri (1 Cor 9; 1 Tm 5:17-18; 3 Gv 5-8).

Quale gruppo di credenti riuscirà meglio a finanziare i fondatori di chiese e ad assistere i poveri: un migliaio di credenti organizzati in una singola chiesa tradizionale, che si riunisce nel proprio santuario ecclesiastico completo di un complesso per la Scuola Domenicale e un “centro di vita familiare” (una palestra), oppure un migliaio di credenti collegati insieme in chiese in casa che collaborano fra loro? Alcune indagini sulle congregazioni protestanti americane rivelano che, in media, l’80% delle entrate va agli edifici, allo staff e ai programmi interni, mentre il 20% all’impegno nel sociale. Nei network delle chiese in casa, tali percentuali sono facilmente capovolte. Essere liberati dal fardello di costruire degli edifici ecclesiastici e dalle spese conseguenti consentirà anche che maggiori somme di denaro vadano al sostegno degli operai ecclesiali e dei bisognosi.

8. Poiché i primi cristiani si riunivano quasi esclusivamente nelle case private, la tipica congregazione dell’èra apostolica era piccola.

Non è mai fornito alcun numero specifico nella Scrittura, ma in genere non c’erano più persone di quelle che entrano comodamente in un soggiorno di medie dimensioni. Il modello è per chiese più piccole anziché più grandi. Riguardo alla grandezza delle case del I sec., Robert Banks, professore al Fuller Seminary, ha scritto che…

“la stanza per ricevere gli ospiti, in una casa mediamente benestante, poteva contenere comodamente all’incirca 30 persone — forse la metà in una situazione di emergenza. […] È improbabile che una riunione di un”intera chiesa’ superasse le 40-45 persone, e poteva essere anche più piccola. […] In ogni caso, non dobbiamo pensare che [le riunioni] fossero particolarmente grandi. […] Persino le riunioni dell”intera chiesa’ erano sufficientemente piccole affinché si sviluppasse un rapporto relativamente intimo fra i membri”2.

 

1 GRAYDON F. SYNDER, Church Life Before Constantine, Macon, Mercer University Press, 1991, p. 166

2 ROBERT BANKS, Paul’s Idea of Community: The Early House Churches in Their Historical Setting, Grand Rapids, Wm. B. Eerdmans Publishing Co., 1988, pp. 41-42.