Quest’articolo è stato scritto da Joe McKeever per il sito www.joemckeever.com (in inglese) e tradotto da Andrea Thomas per la sua mailing list chiamata “Sapere per Fare“. Usato ed adattato con permesso.
Sono più esperto nel far crescere comunità piccole che grandi; sono stato il pastore di tre chiese piccole, e solo la prima delle tre non è cresciuta – ero da poco laureato, senza addestramento, senza esperienza e non sapevo ciò che stavo facendo. Le prossime due sono cresciute bene, ed anche se io sono rimasto in ciascuna solo per circa tre anni, una si è quasi raddoppiata e l’altra quasi triplicata nelle presenze e nei ministeri.
Quando uso la parola “cresciuta” non intendo solo di numero, tanto per parlare di numeri. Non sono d’accordo con l’idea sbagliata che “grande è forte” e che le chiese piccole sono un fallimento. Ciò che intendo per crescita è il raggiungere altre persone col Vangelo di Gesù Cristo. Per esempio, se siete in una zona che sta perdendo popolazione, e la vostra comunità rimane delle stesse dimensioni, allora penso che stiate “crescendo”, cioè raggiungendo nuove anime per il Signore. Inoltre, qualsiasi chiesa (grande o piccola) che non dia il giusto valore all’evangelizzazione ed al raggiungere persone che non conoscono il Signore, non potrà crescere, punto e basta! Ma sono stati già scritti innumerevoli articoli su questo tema. Ora, dopo aver lavorato per anni con centinaia di piccole congregazioni, vi vorrei parlare qui delle sottili barriere alla crescita che si celano non viste nelle comunità che sono ferme e non vedono crescita.
1. Vogliamo rimanere piccoli
“Ci piace la nostra comunità proprio così com’è.” Mentre questo atteggiamento di solito non viene dichiarato – e forse non viene nemmeno riconosciuto da chi sia alla guida – è abbastanza diffuso in molte chiese. Prova ne è di come i leader e le congregazioni rifiutano le nuove idee e “congelano” i nuovi aggiunti.
Questo processo di rifiutare i nuovi è sottile, mai visibile quanto un rifiuto. Verranno salutati come tutti e riceveranno un foglietto delle attività, però rimarranno degli esclusi: “la classe di Roberto si incontra da Tomaso ed Edna, venite e portate un piatto caldo”. “I giovani si incontrano stasera da Giuseppe, c’è la pizza e non dovete mancare.” Però se tu non sai chi siano Roberto, Tomaso, Edna e Giuseppe e dove stanno di casa, sei fuori dal giro.
I pastori che vogliono includere i nuovi e i visitatori occasionali, dovranno usare nome e cognome dal pulpito, ed aiutare i nuovi a capire di chi stanno parlando: “Chiamiamo Roberto Rossi avanti a condurci in preghiera,” e “per chi avesse bisogno di direzioni alla casa di Giuseppe Fini, è quel tizio con i capelli corti e la camicia viola; Giuseppe, alza la mano per favore. Giuseppe avrà un foglietto con le indicazioni su come arrivare a casa sua.”
Nessuno può promettere che, solo perché una comunità voglia crescere, lo potrà fare. Tuttavia, io vi posso promettere che, se non vuole crescere, non crescerà.
2. Una turnazione di leader o pastori
Un pastore in pensione che aveva servito nella sua ultima comunità per circa trent’anni stava visitando una piccola congregazione a sud di New Orleans. Mi disse che aveva fatto una scoperta. “Domenica pomeriggio, avevo diverse ore da aspettare prima del culto serale, e sono andato nell’ufficio della chiesa per leggere il registro. Ho scoperto che, in quasi 50 anni di esistenza, avevano avuto 22 pastori: pensaci, se sono passati circa sei mesi tra un pastore e l’altro, ciò vuol dire che la durata media del pastorato è stata di meno di due anni.” Ha riflettuto un attimo, poi ha detto: “Loro non hanno avuto pastori, solo predicatori.”
Ci vogliono almeno un paio di anni perché un leader che viene da fuori diventi l’uomo per quella chiesa, più che di nome soltanto: cioè uno che si è guadagnato il diritto di condurre la congregazione; nelle chiese più grandi, questo periodo del dare fiducia si allunga fino a cinque-sei anni.
Anche qui, nessuno può promettervi che il tenere un leader o pastore per diversi anni vi garantirà che la chiesa cresca, però vi posso assicurare che avere una serie di leader di breve durata ne impedirà la crescita, sicuro quanto un voto contro la crescita da parte della congregazione.
3. Il dominio di pochi membri forti
Il processo col quale un uomo (è quasi sempre un uomo) diventa “il boss” della chiesa è molto sottile, e quasi mai il risultato di un ostile colpo di stato.
Il pastore o altri leader della chiesa vedrà presto che queste persone si sono proposte come un livello di autorità tra lui-loro e la congregazione locale.
Questi piccoli “boss” spiegano che stanno proteggendo la congregazione: “Non ci va di sconvolgerli con questioni come queste,” e “queste cose vanno meglio se a trattarle siamo in pochi”. Peccato per il giovane pastore o leader nuovo pieno di ideali che entra in quella chiesa non sapendo che vi sono delle persone che stanno “aspettando di dare una mano al suo ministero”. Una volta mi è stato detto: “Pensavamo che avresti avuto bisogno di un aiuto nel pasturare la comunità”.
Simili “boss” autoeletti nella comunità tendono sempre a frustrare le iniziative del leader, a bloccare i suoi passi di fede, a controllare la sua tendenza a fare cose nuove. Risultato? La chiesa resta piccola. Nessuna famiglia normale vorrebbe unirsi ad una simile comunità.
I membri della comunità dovrebbero avere la libertà di fare domande tranquillamente sul perché vengono prese delle decisioni. I “capetti” delle chiese non sopportano che venga fatta luce sulla loro amministrazione della chiesa (“non ci capirebbero”), anche se si convincono che fanno quel che fanno nel migliore interesse della congregazione. Vedi l’episodio di Diotrefe nella terza epistola di Giovanni, “egli ama avere il primo posto”.
5. Complessi di inferiorità
Ero ancora all’università quando mi hanno chiamato per il mio secondo periodo come pastore, di una comunità che era ferma a 40 membri fedeli da tanti anni. Lì ho scoperto che le comunità piccole sono spesso vittime di complessi di inferiorità: “Non possiamo fare niente perché siamo piccoli; non abbiamo tanti soldi come le grosse comunità urbane.” Così, si davano degli obbiettivi piccoli e non richiedevano gran ché dai loro membri.
Poi un giorno sono stato in visita ad una chiesa vicino a noi. Non era assolutamente grande, ma era comunque tre volte la nostra; e parlando col pastore, mi ha detto: “No, i miei non farebbero dei programmi del genere; mi direbbero subito, “noi non siamo grandi come ‘quella’ chiesa grande di New Orleans”. Ed ho capito! Il senso di inferiorità si trova in qualsiasi chiesa che si paragoni ad altri – non sarei stato sorpreso se quelli di New Orleans avessero detto: “Noi non possiamo fare questo o quello, perché non siamo grandi come la chiesa di Memphis o di Dallas.”
Il rimedio è di guardare a Gesù, e dire: “Signore, che vuoi che facciamo?” Pietro chiese: “Signore, e Giovanni, che sta qui? Cosa vuoi che faccia lui?” e il Signore rispose, dandoci un meraviglioso schema da seguire: “E a te che te ne importa? Tu, seguimi!”
Vuoi che la tua chiesa raggiunga altri, si allarghi e cresca? Metti gli occhi su ciò che stanno facendo altri; molte comunità sono in calo, è vero; non imparare da quelli. Chiedi al Signore: “Cosa vuoi che io faccia?” E poi fallo!
6. Niente progetti
Una tipica chiesa piccola che ristagna è piccola in molti modi oltre al numero. Tendono ad essere piccoli anche nella visione, nei programmi, nell’evangelizzazione e, praticamente, in tutto. Peggio che mai, non fanno progetti: niente di niente.
Una chiesa senza progetti – cioè, senza una direzione per ciò che cercano di essere e fare – si accontenta dell’andare avanti, di fare ciò che fanno tutte le chiese di tutto il mondo. Fanno il culto di lode e la scuola domenicale; fanno qualche consiglio e un’agape. Però, se chiedi ai leader: “Quale è la vostra visione per la chiesa?” non vi sapranno rispondere.
Quando Pietro e Giovanni vennero minacciati dalle autorità religiose che volevano che smettessero di predicare Gesù, essi ritornarono alla congregazione per fare saper loro gli sviluppi. Subito, tutti si misero in ginocchio e iniziarono a pregare. Fate caso al cuore della loro preghiera: “Signore, considera le loro minacce e concedi ai tuoi servitori… (che cosa? Ciò che hanno chiesto è il motivo che conosciamo come loro progetto, il loro obbiettivo primario!) …per proclamare la Tua parola con grande franchezza” (Atti 4:29).
Quando lo Spirito Santo ha riempito quella stanza, i discepoli sono stati tutti riempiti dallo Spirito ed hanno dichiarato la Parola di Dio con franchezza (Atti 4:31). Chiaramente, ciò significa che lo hanno detto alla loro comunità, al mondo intorno a loro, non solo gli uni gli altri.
Diversi leader hanno condiviso il motivo perché pensano che molte piccole chiese non crescano: “Devono concentrarsi sulle due o tre cose che fanno bene, non cercare di essere tutto per tutti.”
Alcune comunità si specializzeranno nel ministero per i bambini, altre sui giovani o adolescenti, altre ancora sulle famiglie o sui non-credenti. Alcune miglioreranno nell’insegnamento, altre ancora sul ministero nella comunità, altre sul servizio nelle prigioni o altri campi difficili; ciò non vuol dire che la chiesa debba limitarsi a fare due o tre cose e basta. Piuttosto, cercheranno di fare tutte le cose basilari, conosceranno le loro energie e risorse, i loro progetti e le loro preghiere, e così si specializzeranno in quei due-tre ministeri ai quali il Signore li ha chiamati.
7. Cattiva salute
Chiunque abbia trascorso un po’ di tempo in più di tre piccole chiese potrà riconoscere che alcune sono proprio in cattiva salute. E con ciò, non vogliamo dire che sono piccole, ma che sono malate. Si può anche essere piccoli e sani, vedi il colibrì ad esempio.
Una chiesa malata si vede più in ciò che fa piuttosto che in una lista di caratteristiche ed attributi; una chiesa che cambia leader ogni due o tre anni è malata, come una chiesa che è in continuo conflitto interno; una comunità che non è in grado di prendere serenamente una decisione semplice, come la scelta del colore della moquette, l’accordo sul budget dell’anno prossimo, la decisione di cambiare la liturgia, quella potrebbe essere malata.
Allora, come è una comunità sana? Potremmo riempire delle biblioteche intere con i testi scritti sulle chiese sane, e vi sono abbondanti consiglieri per aiutare a dirigere le comunità verso quell’obbiettivo. Però il programma di Dio è scritto in Romani 12, ai versi 1 e 2, che invitano ciascuno a fare un sacrificio vivente di sé a Dio (“presentate i vostri corpi come sacrificio vivente”) e nei versi 3-4 si propone che ciascuno trovi il suo spazio nel servizio con i propri doni spirituali, e dal 9 alla fine del capitolo si parla del rapporto all’interno di una sana comunione di credenti.
Mostratemi una congregazione dove i membri sono davvero impegnati per Gesù Cristo, dove ciascuno sita usando (o imparando a usare) i propri doni per il servizio, dove la comunione è attiva e benevola – e vi mostrerò una bella chiesa sana.
8. Una fratellanza scadente
Questo somiglia al punto appena trattato, ma merita un trattamento a parte. Secondo me, la miglior cosa che una chiesa abbia da offrire ai singoli ed alle famiglie della società (al di là dell’Evangelo stesso) è un luogo dove essi si sentano amati, ben voluti e resi parte di una famiglia attiva e sana. Questo è il significato di “fratellanza”.
Ci sono modi di misurare se la fratellanza nelle vostre comunità sia malata: se i visitatori vengano ignorati, o addirittura esclusi in certi sensi; nessuno segue i visitatori per farli sentire desiderati o per dare loro informazioni sulla chiesa. Non c’è nessun tentativo di far entrare visitatori in ogni caso; tutto è ordinato nel culto di lode, ma c’è lo stesso programma che si usa da sempre. I canti sono senza vita, ed ogni differenza dalla norma è vietata: un canto nuovo, un nuovo strumento musicale, una testimonianza qua, un’intervista là, un video – nossignore, non da noi! Nessuno ride, e non c’è niente di spontaneo; il momento dell’appello è aggiunto pro-forma, senza vita e senza risposta, mai. Le preghiere sono piatte e piene di frasi scontate.
Quando i profeti dell’Antico Testamento chiamavano il popolo di Dio a “rompere la terra dura” (Osea 10:12 e Geremia 4:3) volevano vedere delle dimostrazioni di conversione, una voglia di cambiare, un desiderio di portare nuovi frutti. La terra dura è un terreno che giace improduttivo da diverse stagioni, e la sua crosta indurita richiede un aratro che scavi in profondità per romperlo, ed anche allora il terreno potrebbe richiedere maggior lavoro per diventare produttivo.
Una chiesa con scarsa comunione non mancherà di avere un certo numero di eventi sociali o cene: sarà però carente nella più basilare area del discepolato – la mancanza di amore. Gesù ha detto: “da questo conosceranno che siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri” (Giovanni 13:35).
Un discepolo vicino a Gesù amerà i fratelli. In questo senso, una congregazione che non è amorevole gli uni verso gli altri può dirsi lontana dal Signore e fredda spiritualmente: la definizione è semplice, “avvicinatevi a Dio, ed Egli si avvicinerà a voi” (Giacomo 4:8).
9. Una condizione di trascuratezza è ovunque in chiesa
Non sempre, ma spesso, una chiesa malata mostra i segni del suo indebolimento attraverso il degrado dei suoi edifici e la trascuratezza della sua condizione. Le pareti interne non sono state dipinte da tempo e mostrano le impronte digitali di generazioni di bambini; il tappeto è liso, i tasti del pianoforte si inceppano, l’insegna esterna avrebbe bisogno di un ripristino e la cosa migliore sarebbe se per caso qualcuno la buttasse giù.
Le chiese malate non sono attente ai loro affari. Lasciano che i problemi si incancreniscano e che le divisioni continuino senza cura. Se state attenti, sentirete qualcuno dei leader che dice le parole fatidiche: “Queste cose si risolveranno da sé”. Così non si fa niente, e la chiesa continua imperterrita verso la sua tomba, nessuno si converte, nessuno si aggrega, la gente se ne va, la comunità intorno si accorge sempre meno della presenza della piccola comunità ed i membri che rimangono si lamentano che la gente “non ama più il Signore come una volta”.
10. Niente preghiera
Quando il Re Saul stava lamentandosi delle calamità che gli erano cadute addosso come risultato della sua ribellione verso Dio, una delle sue lamentele reiterate era che il Signore non ascoltava più le sue preghiere. “Cercava il Signore, ma Egli non gli rispondeva…” (1 Samuele 28:6).
Luca ci racconta che Gesù disse una parabola ai discepoli perché pregassero sempre e non abbandonassero la speranza (Luca 18:1). Quindi, o preghi, o smetti. Queste sono le due alternative.
Volete fare una piccola prova con la vostra congregazione, pastori e responsabili? Domenica prossima, chiamate il vostro popolo ad incontrarsi con voi all’altare per pregare un po’. Non li pregate e non li incoraggiate, semplicemente dite che si farà, poi voi vi inginocchiate davanti al pulpito e cominciate a pregare. E guardate se qualcuno si unisce a voi. State attenti a chi viene, ed anche a chi non viene. Non vi dirà tutto sulla vostra congregazione, però vi dirà parecchio.
La soluzione migliore è che le comunità stagnanti e malate si risveglino e diventino nuovamente vive e vibranti. Questo significherà fare dei passi nuovi per riproporre la loro testimonianza nella società. Purtroppo, in molti casi che conosco, questo non succede. Alcuni leader preferiscono veder scomparire le loro chiese piuttosto che cambiare o fare qualcosa di nuovo e diverso. Questa è una delle affermazioni più tristi che mi sono trovato a fare in vita mia.
Conclusione
Preghiamo per questa difficoltà:
Padre nostro, a noi
piacciono i nostri rituali e la nostra routine. Perdonaci per averti limitato
chiedendoti di adattarti a noi, invece di fare adattare noi a Te. Signore;
usando le parole di vecchi inni e Salmi,
“risvegliaci così che il Tuo popolo possa di nuovo gioire in Te”;
questo Te lo chiediamo per amore di Gesù. Amen”
(Salmo 85:6).