Il ruolo della chiesa locale nel mandare i fondatori di chiese
Quest’articolo estratto da una predicazione di Salvatore Corcelli a Poggio Ubertini ad Aprile 2007. Appare qui per gentile concessione del predicatore.
Dagli evangeli si evince che Gesù all’inizio del suo ministero pubblico chiamò i dodici per formare la squadra (Luca 6:12). Dedicò loro tre anni per: demolire, sradicare, insegnare, formare, equipaggiare e preparare alla missione, perché fosse la squadra a continuare la sua missione nel mondo (Geremia 1:4:10–Giovanni 20:21). Negli Atti 2:1-12 abbiamo la nascita della chiesa profetizzata nell’evangelo di Matteo 16:18. In Atti 9:31 vediamo la moltiplicazione, la crescita della chiesa e da Atti 13:1-3, abbiamo l’espansione con l’invio dei primi missionari guidati dallo Spirito Santo, dando così vita alla nascita di tante chiese locali.
All’inizio della chiesa abbiamo la squadra degli apostoli e dei diaconi (Atti 6); da Atti 13 in poi abbiamo i missionari all’opera con la nascita di nuove chiese locali. Si realizza così man mano il passaggio della guida delle chiese locali dagli apostoli agli anziani, diaconi e servitori a tempo pieno che formano la squadra.
- Gli anziani: coloro che sono i conduttori, gli insegnanti e i pastori.
- I diaconi: coloro che si occupano della chiesa dal punto di vista organizzativo, pratico e logistico.
- I servitori a pieno tempo: coloro che sono il braccio esteso della chiesa locale per proclamare e fondare nuove chiese.
La squadra è composta di uomini che sono diversi per capacità e doni, ma con comuni obiettivi come quelli di edificare la chiesa, proclamare l’evangelo ai perduti e fondare nuove chiese per la gloria di Dio, Marco 16:15-16.
La chiesa di Antiochia non provò nessun dispiacere nell’essere privata dei due servi più preparati, più maturi.
Ora vogliamo soffermarci sul tema del ruolo della chiesa locale nella chiamata del servitore. In Atti 13:1 a 3 si legge chiaramente come tutta la chiesa di Antiochia fu coinvolta nella chiamata dei due servitori. Non solo la chiesa riconobbe che fu il Signore ad averli messi da parte per l’opera, ma poi osserviamo come non provò nessun dispiacere nell’essere privata dei due servi più preparati, più maturi, noi diremmo: “I migliori”.
I credenti di Antiochia non si pongono la domanda: “Come faremo ora?” Essi furono invece solidali nella preghiera, nella comunione e nella dedizione in ogni senso, perché questi servi potessero partire nell’opera con la benedizione del Signore e con l’approvazione e benedizione di tutti. La chiesa mandante diventa anch’essa missionaria perché, se è vero che il servitore è il braccio esteso nel campo che opera a distanza, è vero anche che il braccio è piantato nel corpo, Atti 14:25 a 28.
In questo testo si evidenzia come alla fine del primo viaggio missionario, Paolo e Barnaba avevano percorso più di 1500 Km e circa 800 Km per mare. I servitori tornarono ad Antiochia, da dove erano partiti. Perché? Perché da questa chiesa sono stati raccomandati alla grazia di Dio, e per questi servitori la raccomandazione alla grazia di Dio aveva un grande valore. Radunarono quindi la chiesa per dare loro un resoconto, di come Dio si era servito di loro. Essi evidenziarono due aspetti:
- Nel primo evidenziarono come Dio era stato la loro guida e poi, le cose che Dio aveva fatto per mezzo di loro, Fil. 2:13.
- Nel secondo aspetto invece evidenziarono come Dio aveva aperto la porta della fede ai Gentili, Rom. 16:26.
La chiesa mandante vive così le gioie, i successi, le sconfitte, le sofferenze, gli scoraggiamenti del servitore in missione. La chiesa mandante deve seguire nel campo i suoi missionari, con il sostegno, con i consigli, con l’incoraggiamento, con il suo amore e quanto altro occorre, perché l’impegno assunto in maniera Verticale e orizzontale non è a tempo.
In questi 16 anni e più di servizio in campo di missione in Albania e nel Kossovo, ho notato la presenza di tanti servitori del Signore mandati in Albania e, in particolare tra gli anni 1991 e 1997, solo a Tirana ve n’erano più di quattrocento. Questi avevano alle spalle o una missione o una o più assemblee. Notavo proprio come i servitori che avevano alle spalle una missione, il servizio di consulenza, di sostegno, di visite sul campo, di comunione, di necessità finanziaria e di cura pastorale era tutto molto fluido e costante.
Nel mese di febbraio mentre visitavo una famiglia dove si trovava una sorella in Cristo affetta da male incurabile, fra i presenti vi era un’altra sorella in Cristo che io non conoscevo. Abbiamo avuto modo di parlarci e mi disse di essere la moglie di un missionario che era venuto dalla Corea del Sud per servire il Signore in Albania e precisamente a Tirana. Domandai quindi dove avevano la loro comunità e lei mi disse che non avevano fondato nessuna comunità, ma erano venute insieme ad altre tre coppie per sostenere, incoraggiare, i servitori Coreani che erano già sul campo. Questa frase mi ha fatto molto riflettere sulla necessità di un rapporto vero fra la chiesa mandante e il servitore.
Pensiamo che il servitore abbia bisogno solo di essere raccomandato, presentato all’opera, che necessiti di sostegno finanziario e di qualche pacca sulla spalla. Poi gli diciamo che deve vivere per fede e che deve dipendere totalmente dal Signore. Questo è vero per il servitore, ma è vero pure per la chiesa mandante.
Va tenuto ancora presente che il servitore che opera all’estero nel campo di missione, è molto più esposto del servitore che serve nella propria nazione. Perché? Il servitore che opera all’estero, vive problemi d’inserimento, di cultura, di lingua, di socializzazione, di solitudine e problemi anche sul piano umano. Perciò ha maggiore bisogno di essere seguito, curato, incoraggiato e sostenuto, sia sul piano morale che spirituale.
Questi problemi non sono riscontrabili per chi opera nella propria nazione. Entrambi però, hanno la necessità di essere seguiti e curati, perché solo in questa maniera si creano forti legami di comunione, di intendi e di servizio fra il servitore e la chiesa mandante.