Quest’articolo è stato scritto da Andrea Thomas per la sua mailing list chiamata “Sapere per Fare“. Usato con permesso.
“Le cose che hai udite da me in presenza di molti testimoni, affidale a uomini fedeli capaci di insegnarle ad altri.” (Paolo, 2 Timoteo 2:2)
Metodo Paolino di comunicazione inalterata nel tempo….
Lo scopo della comunicazione è di riproporre un messaggio più volte, così come è stato udito, in modo che nel tempo rimanga inalterato e fedele all’originale; per avere il riferimento più preciso possibile, nei secoli si è ricorso alla memorizzazione e trasmissione orale, alla scrittura, alla stenografia, alla registrazione ed oggi a video e altri sistemi audio-visivi che, oltre alla parola, trasmettono anche l’immagine di chi è che parla, con le sue gestualità o le varie illustrazioni che disegna, mostra o fa vedere per aiutare la comunicazione.
Questo testo è conosciuto come “il versetto delle quattro generazioni”, troviamo:
1. Paolo, che scrive a
2. Timoteo, che affida gli insegnamenti a
3. uomini fedeli, capaci di insegnarli ad
4. altri….
Praticamente qui è esposto un sistema per la trasmissione (orale o scritta) di un messaggio che verrà ritrasmesso fedelmente, quindi inalterato, nel tempo. Quattro generazioni coprono circa un secolo, e il meccanismo si riproduce all’infinito. È così che abbiamo ricevuto prima il Vecchio Testamento, ed in seguito anche il Nuovo. Vediamo un po’ questo sistema nel dettaglio:
- “Le cose” – qui si tratta degli insegnamenti, dei racconti, testimonianze ed esempi che sono stati condivisi tra Paolo e Timoteo: materiale conosciuto da entrambi, non solo “gli scritti” ma tutto un vivere e dialogare insieme;
- “che hai udite” – al tempo di Paolo gran parte della comunicazione avveniva attraverso la trasmissione orale, i racconti ed il rapporto parola-ascolto che privilegiava l’auditivo (mentre oggi tutto privilegia il visivo) anche per la percentuale di analfabetismo nell’allora società; la fede viene dall’udire la Parola, quindi questo è un principio valido ancora oggi, infatti nelle nostre comunità la gente impara quasi sempre ascoltando.
- “da me” – qui si definisce la paternità del messaggio, cioè Paolo ne “firma l’esattezza” come per confermare che si tratta di un messaggio garantito; il rapporto tra Paolo e Timoteo è comunque quello tra formatore e discepolo, ed è lo stesso rapporto che Paolo auspica si formi tra Timoteo ed i suoi futuri discepoli, basando comunque sempre un discorso di comunicazione su un rapporto personale e non sfuggevole o casuale.
- “in presenza di molti testimoni” – è evidente che gli insegnamenti non riguardavano delle cose misteriose per pochi addetti ai lavori, ma piuttosto una serie di “punti di fede” o altro gruppo di insegnamenti riconosciuti uguali per tutti e già largamente diffusi nelle chiese; in questo senso oggi possiamo parlare di insegnamenti tradizionali e fondamentali, non di novità personalizzate che contraddistinguano questo o quel ministro.
- “affidale” – il verbo affidare implica fiducia, il dare un compito importante a qualcuno che pensi lo porterà a termine; non è una delega cieca senza rendicontazione. Se si affida qualcosa a qualcuno, in genere si tornerà a chiedere conto di come è stato usato, come nel caso biblico dei talenti, evi è anche l’implicito rimprovero se un qualcosa di affidato non sia stato usato per paura, mancanza di voglia o senso di incapacità.
- “a uomini fedeli” – la fedeltà di chi riceve il messaggio è importante per diverse ragioni, cioè dovrà essere fedele al Signore prima di tutto, poi dovrà essere fedele al messaggio che gli è stato consegnato, ed ancora fedele a chi lo ha istruito per ritrasmettere il messaggio senza alterazioni nel tempo; è implicita anche una cernita tra chi riceve un discepolato, perché evidentemente solo quelli fedeli potranno “continuare la trasmissione”.
- “capaci di insegnare” – anche la capacità di trasmettere, l’impegno a voler comunicare, viene elencato tra le qualità importanti in chi riceve il messaggio da tramandare; vi è una voglia di comunicare che implica una formazione dei prossimi “trasmettitori”, un desiderio di vedere il messaggio riproposto non alterato ad altre generazioni e in altri luoghi.
- “anche ad altri.” – questi altri sono la quarta generazione, quelli che nel futuro potranno ricevere il messaggio dai discepoli di Timoteo, quindi persone che l’apostolo Paolo sa che non conoscerà mai, ma si fida delle sue istruzioni sul come “ritrasmettere” perché così il messaggio originale sarà lo stesso anche in tempi lontani.
Il testo ci mostra due cose molto chiaramente:
1. la voglia di Paolo di ripetere e spandere a più non posso il messaggio che il Signore gli aveva affidato, e
2. il suo desiderio di mettere in piedi una struttura che potesse riproporre nel tempo una corretta trasmissione inalterata del messaggio che lui aveva ricevuto.
Ciò significa che anche noi, oggi, siamo chiamati a riproporre questo schema; e ciò vuol dire che, guardandoci intorno, dobbiamo renderci conto che la nostra vita è un lasso di tempo con dei limiti, e quindi dobbiamo al più presto imparare a comunicare, delegare ed affidare il messaggio e il compito ad altri più giovani, cercando di fare il possibile per prepararli all’insegnamento ed alla moltiplicazione dei futuri “trasmettitori” in modo che il messaggio si propaghi ovunque, non si disperda e nel tempo rimanga fedele alle origini.
A questo proposito vi è la simpatica regola in quattro fasi scritta da John Hewitt (Australia):
- Io faccio, loro guardano;
- io faccio, loro aiutano;
- loro fanno, io aiuto;
- loro fanno, io guardo.
Nei miei anni di insegnamento in una struttura secolare, si usavano le tre regole dell’insegnamento e cioè PRESENTAZIONE, PRATICA e PRODUZIONE; ciò vuol dire che chi insegnava doveva per primo presentare il materiale nuovo, poi assicurarsi che gli studenti avessero la possibilità di farne pratica con lui e poi tra loro per imparare a gestirlo, ed infine lasciarli alla produzione di altro materiale simile, che a quel punto veniva ascoltato e corretto solo se vi erano sbagli di fondo.
- La PRESENTAZIONE somiglia a: “io faccio, loro guardano”;
- la PRATICA è dapprima “io faccio, loro aiutano”, poi diventa in seguito “loro fanno e io aiuto”;
- infine la PRODUZIONE con una forma di supervisione è: “loro fanno, e io guardo”.
Per concludere questo ciclo “di discepolato” ci vuole tempo: Gesù trascorse tre anni coi Suoi discepoli, e vediamo che quando li mandò in missione a due a due avevano completato il ciclo di addestramento a tal punto da rimanere sorpresi dei risultati che “producevano”; i nostri tempi non dovrebbero necessariamente essere più lunghi di questi, quindi cerchiamo di comunicare tutto il Consiglio di Dio che abbiamo ricevuto, poi incoraggiamo i nostri discepoli a fare pratica, nella predicazione, nell’insegnamento, nella missione ed evangelizzazione, nella preghiera; infine permettiamo loro di produrre il frutto di questo insegnamento, cioè la riproduzione di altri discepoli.
“Il frutto naturale di un albero di mele non è una mela, ma un nuovo albero di mele.” (Nick Klinkenberg, Nuova Zelanda)