L’unità e le differenze culturali

Questo post è stato estratto dal capitolo 11 del libro “Uno in Cristo” di Pier Francesco Abortivi. Usato ed adattato con permesso dell’autore. Il libro è scaricabile in base ad una donazione libera presso il sito Progetto Archippo.
La differenza culturale è una cosa buona o una cosa cattiva? Può sembrare una domanda banale, ma racchiude in sé la risposta a molti dei problemi che si possono incontrare nelle chiese e fra credenti di estrazione diversa. Quando parlo di differenza culturale mi riferisco non solo alle nostre radici nazionali, linguistiche o di tradizione, ma anche alle abitudini familiari e agli usi e costumi legati alla nostra chiesa. Se comprendiamo il limite fra ciò che consideriamo vero e giusto perché ci è stato trasmesso da altri e ciò che è realmente biblico e cristiano, avremo fatto un grosso passo avanti verso una vita di rapporti cristiani equilibrati.
Esistono eredità culturali che vengono interpretate in modo diverso in luoghi diversi in tempi diversi. Per esempio in alcuni paesi è normale e lecito bere moderatamente vino fra credenti, mentre in altri è considerato disdicevole. In alcuni ambienti il fumo è tollerato, mentre in altri è considerato un grave peccato. In certe chiese viene giudicato inappropriato il possedere un’auto di lusso, mentre in altre viene indicato come un segno di benedizione da parte di Dio.
Esistono poi tutta una serie di eredità culturali innocue che ognuno di noi ha assorbito dalla propria famiglia, dal proprio ambiente, dalla propria chiesa. Il mangiare più o meno piccante, l’essere più o meno puntuali, il comunicare in modi diversi, il modo di vestirsi ecc., sono tutte cose che, entro certi limiti, potremmo dichiarare “neutre”. Quindi la risposta alla domanda “La differenza culturale è buona o cattiva?” non può essere definitiva.
La sfida per noi cristiani, è saper discernere ciò che è realmente secondo la volontà di Dio, da quello che è parte della nostra cultura o fa semplicemente parte dei nostri gusti, e chiamare queste cose col proprio nome, perché il rischio reale è quello di chiamare il nostro peccato cultura e i nostri gusti dottrina.
La nostra società è sempre più multiculturale e la chiesa riflette questa realtà con i relativi problemi e ostacoli. Negli ambienti multiculturali, come è prevedibile e normale, molte delle frizioni dipendono appunto dalle differenze propriamente culturali. Queste differenze diventano pericolose quando la cultura e la tradizione vengono elevati a livello di dottrina. E’ quello che facevano i farisei, ed è inutile ricordarvi quanto questo facesse infuriare Gesù! (Marco 7:513)
Siamo tutti abituati a dare per scontato che certi valori siano “cristiani”, ma la realtà è che molti di questi lo sono come principio, ma non nell’applicazione che ne diamo noi. Per esempio se in Svizzera un incontro “ordinato” (giusto principio biblico) prevede di incontrarsi puntualmente 10 minuti prima dell’inizio, in Africa o in Brasile lo stesso incontro “ordinato” potrà iniziare fino a mezz’ora o un’ora dopo senza che nessuno lo percepisca come “disordine”. E’ fondamentale, in ambienti multiculturali, trovare un punto di equilibrio condiviso, un minimo comun denominatore basato su principi biblici, che sia percepito da tutti come adeguato. Non diamo per scontato il fatto che gli altri dovrebbero sempre adattarsi a noi. La chiesa, come corpo, deve crescere anche nel rinnovamento che viene dal confronto e dall’arricchimento fra le parti.
“Io sono debitore verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti” Romani 1:14
Se guardiamo a Gesù non c’è dubbio che sapesse adattarsi alla cultura del luogo e delle persone che incontrava. Sapeva cosa dire con la samaritana e sapeva rapportarsi col centurione romano. Andava alle feste di nozze e ai banchetti, vero momento sociale della cultura di quell’area.
Esiste una regolo d’oro, ben illustrata nella parola, che dovrebbe guidarci in tutti i casi in cui ci siano dubbi sul da farsi. La troviamo in 1 Corinzi 8:7-13, 10:23-24, 10:30-33. Lo scopo è la salvezza in Cristo. L’inciampo viene dalla debolezza. La soluzione è nella tolleranza della diversità, non del peccato ovviamente, magari spacciato per cultura o ereditato dalla propria cultura (“da noi si fa così”), ma nell’accettare che esiste un margine di libertà all’interno della grazia di Dio che ci porta ad adattarci al nostro fratello se questo può aiutare la nostra comunione.
Il non scandalizzare è un prerequisito per chiunque voglia testimoniare il Signore attraverso la propria vita, sia fra credenti che ai non credenti. Esiste una sottile linea che divide la proclamazione della verità con passione e forza e il giudizio privo di grazia. E’ una linea che passa per l’amore del prossimo e il nostro volere realmente il bene dell’altro. Allo stesso tempo esiste un’altra linea che divide l’amore e il desiderio 66 di mostrare la grazia di Dio e il compromesso con il peccato. Questa passa dall’ubbidienza e dallo stare aggrappati alla parola di Dio. Che il Signore ci riempia della sua grazia nella verità in modo da sapere sempre discernere la Sua volontà in ogni occasione.
Nessuno dunque vi giudichi quanto al mangiare o al bere, o rispetto a feste, a noviluni, a sabati, che sono l’ombra di cose che dovevano avvenire; ma il corpo è di Cristo. Nessuno vi derubi a suo piacere del vostro premio, con un pretesto di umiltà e di culto degli angeli, affidandosi alle proprie visioni, gonfio di vanità nella sua mente carnale, senza attenersi al Capo, da cui tutto il corpo, ben fornito e congiunto insieme mediante le giunture e i legamenti, progredisce nella crescita voluta da Dio. Colossesi 2:16-19

Tutti gli articoli di Pier Francesco Abortivi all suo libro “Uno in Cristo”:
- Abbiamo una chiesa settaria, sincretistica o sana?
- Unità o uniformità?
- Come lavorare insieme?
- Le differenze culturali
Questo post è stato estratto dal capitolo 11 del libro “Uno in Cristo” di Pier Francesco Abortivi. Usato ed adattato con permesso dell’autore. Il libro è scaricabile in base ad una donazione libera presso il sito Progetto Archippo.